Criptovalute: rischi e responsabilità del gestore
(una falla nel sistema di sicurezza della piattaforma)
di avv. Wolfango Maria Ruosi
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1. Sulle criptovalute si è già scritto molto e anche noi ci siamo già dedicati in precedenti contributi. Non è qui l’occasione per ribadire la natura e le qualità delle criptovalute da un punto di vista della funzione, della stabilità, dell’opportunità o meno di investimento. L’occasione di questo intervento è data dalla sentenza 18, del Tribunale di Firenze, non più recentissima, in quanto pronunciata il 21 gennaio 2019, nella quale vengono affrontati due importanti aspetti utili per chi si affaccia al mondo delle criptovalute. Il primo aspetto riguarda la definizione giuridica delle criptovalute, il secondo: la responsabilità del gestore/custode verso il proprietario.
Con il diffondersi del fenomeno, si sono moltiplicati anche i servizi accessori, offerti da nuove categorie di operatori, consistenti anche nella custodia delle monete virtuali. Fra le nuove attività rilevano la gestione delle piattaforme, che possono consentire lo scambio on line (acquisto/vendita) con l’attivazione di portafogli digitali (e-wallet), la custodia dei portafogli e altri servizi di sicurezza. All’aumentare delle attività, corrisponde necessariamente l’aumento delle responsabilità connesse e derivanti da tali attività.
2. La definizione giuridica delle criptovalute: premessa necessaria per l’inquadramento della disciplina applicabile
La criptovaluta può essere definita come “digitalizzazione di valore”, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi (e non di pagamento). Si tratta di una rappresentazione digitale espressa in unità patrimoniali del medesimo valore e, come tale, è un “bene” e, più in particolare, è un “bene fungibile”. Le criptovalute, al pari dell’energia o dei file, in quanto prodotte da un segnale elettromagnetico captato e memorizzato stabilmente su una macchina, diventa un bene in rerum natura.
Ciò significa che quando le criptovalute si trovano presso il gestore della piattaforma, si versa nell’ipotesi del deposito irregolare di beni fungibili, la cui disciplina è data dall’art. 1782 cod. civ.: “Se il deposito ha per oggetto una quantità di danaro o di altre cose fungibili, con facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la proprietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità”.
Pertanto, le criptovalute, in quanto beni fungibili, anche quando non siano state individuate al momento della consegna, entrano nella disponibilità del depositario, che acquista il diritto di servirsene e, pertanto, ne diventa proprietario, pur essendo tenuto a restituirne altrettanti della stessa specie e quantità, salvo che sia stata apposta apposita clausola derogatoria.
Il gestore della piattaforma conserva i poteri di supervisione e controllo sulle transazioni e sulle movimentazioni delle criptovalute, avendo la disponibilità delle chiavi private di accesso, grazie alle quali può disporre dei fondi.
La collocazione di tutte le criptovalute in un unico indirizzo dell’Exchange, permette una maggiore efficienza di costudire insieme i beni di diversi depositari, per i quali è irrilevante l’identità della singola criptomoneta, purché sia sempre a loro disposizione la quantità o, meglio dire, il valore di propria titolarità.
Il problema che si è verificato nel caso sottoposto al Tribunale di Firenze si è generato nel momento in cui i depositari hanno chiesto la restituzione dei propri beni, ossia del valore corrispondente, ma tali valori non erano più presenti nel portafoglio dell’Exchange, per essere stati indebitamente sottratti, attraverso multiple disposizioni e non rintracciabili.
Quanto accaduto dimostra che la sottrazione di criptovalute, sebbene difficile, è comunque possibile; da ciò la necessità di verificare che le stesse, qualora siano state affidate ad un gestore, siano correttamente e diligentemente custodite, con l’adozione di tutte quelle misure precauzionali e tecniche conosciute o conoscibili, la cui disamina non è compito del presente scritto.
3. La responsabilità del gestore
Rilevata, quindi, la natura delle criptovalute (beni fungibili) e la tipologia contrattuale (deposito irregolare), è possibile ora ricavare la responsabilità derivante da ammanchi in capo al gestore depositario.
Quest’ultimo, quale impresa che offre beni e servizi tecnologici, è responsabile per tutti i rischi che derivano dalla propria attività.
Nel caso esaminato, è stato riconosciuto da parte del consulente del Tribunale, che la piattaforma non effettuava controlli approfonditi in relazione all’identità del registrante e non teneva traccia degli indirizzi IP utilizzati per la registrazione o per i successivi accessi ed operazioni. Pertanto, in caso di ammanco o di qualsiasi operazione illecita, non era possibile fornire alcun supporto utile a identificare i potenziali autori.
Poiché tutte le criptovalute affidate all’Exchange dai vari depositanti, erano detenute in un portafoglio unico, non è stato possibile determinare a quale utente particolare appartenessero le criptovalute sottratte.
La piattaforma aveva anche un altro problema, derivante dalla mancanza di un sistema di sicurezza finalizzato ad impedire che un comando venisse impartito più volte in modo identico e in rapida successione, così da impedire che un’identica disposizione venisse eseguita più volte.
A causa di queste anomalie, la piattaforma non poteva considerarsi sicura e presentava un alto rischio nello scambio e nell’utilizzo delle criptovalute.
La mancata diligenza del depositario, che, in quanto imprenditore è gravato da tutti i rischi derivanti dalla propria attività, è stata accertata sotto un duplice profilo. Da un lato, è stata rilevata un’inadeguatezza della piattaforma per come era stata configurata e, dall’altro lato, successivamente all’ammanco, è stata rilevata l’incapacità del gestore di denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione. Ciò ha determinato la responsabilità del gestore della piattaforma, al quale, in qualità di custode ed in ragione dell’attività svolta, è stata imputata la mancata adeguata diligenza professionale, per non avere assicurato la restituzione delle cose fungibili a richiesta del depositante. Il gestore della piattaforma è stato dichiarato fallito.
Studio WMR
Avv. Wolfango M. Ruosi