La falcidiabilità dell’IVA nelle procedure concorsuali
Cade il tabù dell’inviolabilità dell’IVA e si creano nuove ulteriori aspettative
In presenza di una incontrovertibile crisi economica, per la quale il vaccino non può e non potrà risolvere i problemi, anche l’intervento della Corte Costituzionale può essere salutato con favore da coloro, imprenditori e non, che dovranno affrontare, loro malgrado, situazioni di insolvenza o di crisi irreversibile.
Nel nostro ordinamento concorsuale, si era creata una situazione di disparità di trattamento tra i debitori imprenditori con requisiti tali da poter accedere alle procedure di fallimento e di concordato, rispetto a coloro che imprenditori commerciali non sono e che non potevano proporre soluzioni alla propria crisi, se non ricorrendo alla disciplina del sovraindebitamento, per la quale il pagamento soltanto parziale dell’Iva era precluso.
1 Con la pronuncia della Corte di Legittimità n. 245, del 29 novembre 2019, si è posto fine alla disparità di trattamento tra debitori fallibili ed i debitori tecnicamente non fallibili.
In quest’ultima categoria entrano tutti quei debitori imprenditori, che per carattere dimensionale non hanno i requisiti per accedere alle procedure concorsuali “maggiori”, oppure sono consumatori o imprenditori agricoli.
L’articolo interessato dalla modifica lo si rinviene nella Legge 27 gennaio 2012, n. 3, in tema di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento, la quale, nell’art. 7 – presupposti di ammissibilità, prevedeva che nella proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, l’imposta sul valore aggiunto dovesse essere pagata integralmente, concedendo, come unico beneficio, quello della dilazione del pagamento, ma non la falcidia, diversamente da quanto già era consentito nelle procedure di fallimento e di concordato preventivo.I Giudici costituzionali, con l’eliminazione delle parole “all’imposta sul valore aggiunto”, hanno definitivamente regolato il trattamento dell’Iva, rendendolo omogeneo in tutte le procedure concorsuali e per tutte le tipologie di debitori, i quali potranno così usufruire della riduzione dell’onere.
Con l’eliminazione del riferimento all’Iva, non vi è un’esplicita autorizzazione alla falcidia, bensì è stato eliminato il divieto, rendendo con ciò implicita la possibilità di riduzione.
L’intervento è di grande interesse, poiché la necessità per il debitore di proporre e garantire l’integrale pagamento dei tributi aveva comportato la rinuncia alle soluzioni negoziate, dovendo necessariamente optare per la liquidazione del patrimonio ai sensi dell’art. 14 quater della citata legge e, quindi, per una soluzione in linea di principio meno favorevole.
La sentenza n. 245 del 2019 ha impegnato la Corte Costituzionale in un’approfondita disamina di tutta la disciplina concorsuale in relazione al trattamento dei tributi rientranti nella sfera di competenza dell’Unione Europea e ai principi che regolano l’ordine dei privilegi.
La motivazione e il procedimento logico seguito nel giudizio di legittimità meritano alcune riflessioni, sebbene soltanto necessariamente accennate.
2 La falcidia del credito Iva ha avuto ingresso nel nostro ordinamento con l’art. 182 ter della Legge Fallimentare, con riguardo alla transazione fiscale nel concordato preventivo. Due sono i presupposti: il primo, che derivi da un accordo specifico con il Fisco, accedibile solo su base volontaria ed il secondo, che il piano, con cui è proposta la falcidia, non preveda la soddisfazione in misura inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione o fallimento. In altre parole, la falcidia proposta con il concordato preventivo non deve rappresentare per l’Erario un risultato peggiore, di quello ottenibile con il fallimento.
La norma da ultimo richiamata ha natura speciale e, pertanto, si applica soltanto in quello specifico contesto e non poteva essere estesa anche alle procedure concorsuali a disposizione di quelle tipologie di debitori, diverse dall’imprenditore commerciale fallibile.
Il principio della falcidiabilità di tutti i creditori privilegiati, è stato esteso anche al concordato preventivo ordinario, senza che sia necessario procedere con il subprocedimento, avente ad oggetto la transazione fiscale, purché nel rispetto dell’ordine legittimo delle cause di prelazione.
Il beneficio è stato confermato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 26988, del 27 dicembre 2016, rispetto alla quale aveva fatto da apripista la pronuncia della Corte di Giustizia, C-546/14, del 7 aprile 2016, che aveva dichiarato la falcidia dell’Iva compatibile con l’ordinamento eurounitario, purché in presenza di un procedimento seriamente volto a verificare che una miglior soddisfazione della pretesa tributaria, nell’alternativa fallimentare, fosse esclusa.
Tale principio, sebbene limitato ad alcune procedure, rispecchia il pragmatismo europeo, che privilegia la soluzione più favorevole per la realizzazione del tributo sovranazionale. Il principio può essere così sintetizzato: piuttosto che non prendere nulla con il fallimento, è meglio accettare ciò che propone il debitore con il concordato. Tale considerazione apre il campo alle successive.
Originariamente, tale “beneficio” era previsto soltanto nel caso di concordato preventivo e, quindi, soltanto per quei creditori che potevano accedere a tale procedura. Restavano esclusi tutti quegli altri debitori, che potevano accedere a procedure diverse, comunemente definite procedure negoziate a base volontaria e preventiva, quindi, vittime di una disparità di trattamento, poiché tutte le procedure di composizione della crisi risultavano più onerose a causa dell’obbligo di dover pagare integralmente l’Iva dovuta.
Nella composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3) riservata ai debitori non fallibili, ai consumatori ed agli imprenditori agricoli, espressamente si consentiva, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la possibilità di dilazionare i pagamenti, ma non di ridurli (art. 7 della legge da ultimo richiamata).
Il problema era tale da inficiare l’utilità e la diffusione della procedura, poiché, sul piano pratico, aveva comportato la rinuncia da parte di molti debitori non fallibili a ricercare soluzioni negoziate, dovendo necessariamente optare per la liquidazione del patrimonio (procedimento con effetti analoghi a quelli del fallimento), meno favorevole.
3 Così è stato, sino a quando non è stata sollevata la questione di incostituzionalità da parte del Tribunale di Udine, ai sensi dell’art. 3 e dell’art. 97 della Costituzione, limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”.
Il Giudice rimettente è partito dalla considerazione che il quadro interpretativo e normativo di riferimento è mutato a seguito della sopra richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e della Corte di Cassazione, che ha ritenuto legittima la falcidia dell’Iva, nei concordati preventivi, anche se proposti senza avvalersi della disciplina dettata dall’art. 182 ter della Legge Fallimentare per la “transazione fiscale”. Articolo modificato per consentire il pagamento parziale dei tributi, dei contributi previdenziali e dei relativi accessori, senza distinzioni di sorta; restando ferma la condizione che la soddisfazione offerta non sia inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione fallimentare del patrimonio.
Tale evoluzione, però, non si è estesa alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, che è rimasta immutata rispetto a quella originariamente prevista per l’art. 182 ter, comma 1°, ultima parte, della Legge Fallimentare, vigente all’epoca dell’introduzione della disciplina del sovraindebitamento.
È evidente la differenza di trattamento per le due tipologie di debitori, con l’ulteriore discrasia rappresentata dal fatto che i soggetti, che hanno in genere dimensioni economiche meno rilevanti (e dunque un impatto della loro insolvenza sull’economia generale inferiore, compresa la probabilità di sussistenza di crediti Iva), siano sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto ai debitori fallibili.
Peraltro, tale disparità era già stata esaminata dalla Suprema Corte, che si era espressa negativamente quanto alla sussistenza del contrasto tra la regola dell’infalcidiabilità dell’Iva e il parametro costituzionale. Ma all’epoca della pronuncia (sentenza n. 225 del 2014) prevaleva il principio non derogabile, in forza del quale l’obbligo di pagamento integrale dell’Iva fosse conseguenza della ritenuta indisponibilità del tributo, in quanto risorsa propria dell’Unione Europea.
Tale considerazione è tuttavia venuta meno due anni dopo, con la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia Europea, che ha ritenuto compatibile la Legge Fallimentare italiana, anche quando prevede il pagamento parziale dell’Iva, se inserita nel quadro di un piano controllato e controllabile, che dimostri come tale soluzione porti un beneficio non inferiore a quello che si otterrebbe all’esito di una liquidazione forzata dei beni del debitore.
Pertanto, dato atto della diversità di trattamento tra debitori, preso atto che il principio un tempo generale di intangibilità dell’Iva era venuto meno, il Giudice rimettente ha concluso per l’incostituzionalità della norma nella parte in cui manifestava tale disparità.
In conseguenza dell’accoglimento della questione di incostituzionalità, gli accordi di composizione della crisi, che quanto a struttura, nei propri tratti essenziali, replicano la struttura del concordato preventivo previsto dalla Legge Fallimentare, hanno uguale trattamento quanto alla falcidiabilità del credito Iva, che ora segue le sorti di tutti gli altri crediti privilegiati.
Anche per i debitori, tecnicamente non fallibili, si è quindi aperta la strada dell’esdebitazione, potendo evitare l’azione liquidatoria, frazionata o complessiva, del relativo patrimonio, così da favorire una immediata ricollocazione del debitore all’interno del circuito economico e sociale, senza il peso delle esposizioni pregresse.
4 Come sopra detto, la questione di incostituzionalità è stata posta e risolta con espresso riferimento al credito Iva. Rimane aperto, quindi, il problema relativo alle ritenute operate e non versate che, per l’art. 182 ter della Legge Fallimentare, erano riducibili soltanto nell’ambito del concordato preventivo, sempre con la limitazione che la proposta non prevedesse una soddisfazione in misura inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione. Tale beneficio rimane ancora precluso per gli accordi di ristrutturazione di cui al più volte richiamato art. 6 della L. 3/2012.
A seguito della motivazione assunta dalla Corte Costituzionale si può dubitare sulla compatibilità costituzionale della norma, anche nella parte in cui impedisce la possibilità per il debitore di proporre il pagamento ridotto degli oneri di previdenza ed assistenza obbligatorie.
Tale distinguo non può essere mantenuto, tanto più che le ritenute non godono della maggior tutela accordata all’Iva, poiché non vi è connessione con le risorse da mettere a disposizione dell’Unione Europea. Poiché, uguali sono le considerazioni preliminari, uguali sono i presupposti e parimenti uguali sono le cautele finalizzate ad evitare piani fraudolenti o non convenienti, non si ravvisano validi motivi poiché si debba giungere a condizioni di trattamento differenziate..
Si può quindi concludere, che anche le ritenute dovranno avere pari trattamento dell’Iva. Sebbene, ad oggi, una specifica pronuncia sul punto non vi sia, non vi è dubbio che la norma, che regola la procedura fondata sul sovraindebitamento, debba essere intrepretata in senso costituzionalmente orientato.
di avv.Wolfango Maria Ruosi